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martedì 27 gennaio 2015

Se Maometto non va alla montagna...

Guardate l'annuncio sul giornale di ieri che vi ho incollato sotto.
La gente, qui, e' molto pratica. Perché bisogna aspettarsi che i fedeli vengano a messa alla domenica a versare la propria offerta quando puoi direttamente mandargli un signore minaccioso a casa a sollecitarla??  
Vabbe, si tratta del "diezmo", cioè dell'offerta molto spontanea e libera della decima parte delle proprie entrate da fare mensilmente alla chiesa evangelica, l'undicesimo dei dieci comandamenti, però che te la vengano a far pagare a casa mi sembra un po' troppo materialista. E tra l'altro l'annuncio specifica che l'offerta deve essere in contanti!!E se uno non paga cosa si fa, il pastore gli manda lo scagnozzo a bucargli le ruote della macchina o lo minaccia di finire nei gironi infernali?


sabato 24 gennaio 2015

Yatinto

Ya tin to' significa in lingua maya kaqchikel "io mi prendo cura di te" ed è il nome del poliambulatorio dove ho vissuto nei giorni precedenti un'esperienza indimenticabile. Avevo già partecipato a delle giornate mediche, perché con il Lions club e l'università mariano galvez, quando ho vissuto qui dieci anni fa, ne avevamo organizzate, ma niente a che vedere con quello che ha rappresentato per me questa breve ma intensa esperienza. Il gruppo di volontari con cui ho collaborato, provenienti soprattutto dall'Italia ma anche dal Guatemala stesso e dal Messico, sono diventati una famiglia nel giro di poche ore. E' incredibile come ci si riconosce e ci si conosce velocemente se quello che ti anima e' voglia di aiutare, un sentimento puro e spontaneo. C'erano chirurgo, cardiologo, ginecologa, pediatra, un'altra dentista, internista, infermiere, tante volontarie di supporto che fungevano da cambusiere o farmaciste e un prete "autospretizzato" ( una persona che almeno un po' mi ha fatto fare pace con la religione cattolica, anche se lui si è' allontanato dalla chiesa)...un gruppo assortito eppure pareva di stare assieme da sempre, abbiamo fatto comunità ed è stato meraviglioso. In un posto sperdutissimo a     Circa 50 km dalla capitale sorge questa "missione" che è diventata il centro nevralgico di tutto il villaggio. Li 15 anni fa non c'era nulla, solo qualche capanna sperduta di famiglie che fabbricano i fuochi d'artificio a mano (dentro "casa", senza nessuna formazione, senza nessuna protezione), i volontari dell'associazione "sulla strada" www.sullastradaonlus.comhanno creato una scuola elementare, una scuola media (solo il sabato), un laboratorio di cucito per le donne, un progetto di sviluppo agricolo per dare lavoro, e soprattutto un poliambulatorio, oltre ad aver riabilitato un ospedale non molto lontano. Ogni anno dall'Italia parte un gruppo di volontari per dar vita alle settimane di attenzione medica gratuita presso il poliambulatorio ed addirittura di operazioni chirurgiche (che ognuno paga per  quello che può)presso l'ospedale.


Io ho potuto dare disponibilità solo per tre giornate, a causa dei bimbi che Dany da solo faceva fatica a gestire (soprattutto per via dei compiti di scuola!!) e per via anche della stanchezza legata all'ormai ottavo mese di gravidanza. 
Mi è sembrato di tornare ai tempi dei  tanto amati campi scout, perché proprio come allora si è vissuto in sobrietà, dormendo tutti assieme, condividendo il cibo, i momenti di svago ( a suon di schitarrate di cantautori italiani)e anche le "corvée" quotidiane: lavare i piatti, riordinare...

Mi mancavano i miei bimbi, però vedere egli occhi e nei sorrisi la riconoscenza delle persone semplici al mio lavoro mi ha ripagata di tutto in un secondo. Sicuramente non riesco ad esprimere a parole quello che ho sentito, so solo che mi porterò nel cuore questa sensazione a lungo e farò di tutto per riviverla l'anno prossimo. E se non ci riesco a parole, spero che le foto mi aiutino a trasmettervi  la sensazione di essere li, in quel pezzo di mondo che sembra dimenticato, dove animali e persone si mischiano nella polvere, dove sembra che il domani sia più lontano e più confuso, dove i bambini alla mattina prestissimo, con il sole che ancora non spunta, si incamminano verso la scuola felici, perché significa un giorno di lavoro evitato e un pasto sicuro, ma soprattutto una speranza in poter ambire a qualche cosa di diverso...


martedì 20 gennaio 2015

Il mio primo baby shower

Per chi pensasse che un baby shower sia  la prima doccia di un bambino appena nato, posso riassumere che è la bellissima usanza (sempre importata, come altre tradizioni) dagli Stati Uniti per cui le amiche o le parenti della mamma in attesa organizzano una festa per raccogliere "aiuti" per il nascituro: si decide il tema della festa, per esempio "bagno" oppure "pappa" o "cambio" e tutti portano regali relativi al tema. Insomma la mamma si fa fare il corredo del bimbo dalle altre! E' un sostegno notevole...c'è chi si fa regalare la scorta di pannolini per tutto il primo anno di vita! Io, dato che ho già due figli e quindi vado di riciclo (povero, gli toccherà mettersi pure le cose della sorella! Ma tanto a pochi mesi non possiedi il senso della vergogna e tanto meno dell'identità...cercherò di non fargli foto magari con i completini tutto pizzo e volant per evitare che da grande mi possa accusare di avergli provocato turbe psicologiche)e data la mia ben nota avversione per i pannolini usa e getta (vivo nel mondo delle cose lavabili da quasi 7 anni, pannolini compresi, oltre ad effettuare un allenamento al vasino molto precoce direi quasi immediato e molto tirannico), non avevo particolari preferenze quindi abbiamo optato per un baby shower di "buste" con dentro un contributo in denaro con cui mi farò una bella vacanza riposante in una SPA appena dopo il parto. Scherzo, mi sa che dovrò comprarci qualcosa per il pupo. Al momento non ricordo più, perché sono passati 4 anni dall'ultima volta, di cosa ha bisogno un neonato, a parte della mamma, e quindi deciderò più avanti.

Insomma le mie cognatine e mia suocera mi hanno organizzato (e pagato!)il baby shower: un brunch al club italiano per circa trenta persone. La sorpresa più bella e' stata la partecipazione della mia amica Jessica con cui frequentano medicina qui in Guatemala ben nove anni fa...dopo nove anni senza vederci si è fatta tre ore di aiuto dalla città di Quetzaltenango solo per esserci...ed è stato un regalo meraviglioso!


Durante queste feste si organizzano simpatici giochetti tipo: gara di imboccamento con omogeneizzati in vasetto, gara di cambio del pannolino oppure il gioco che ho gradito in assoluto di più e che credo mi perseguiterà negli incubi nei mesi a venire "indovina il peso della mamma". Secondo me dietro c'è la mente criminale di un uomo, perché tanta cattiveria non può sgorgare dal cuore di un'altra donna! Ma come, lo sanno tutti che il peso di una balena spiaggiata umana passato il 7 mese e' un'informazione riservata come uno dei segreti di Fatima!!!eppure, le mie allegre invitate con tutta la carineria e il tatto del mondo si sono lanciate nella sfida cercando di non puntare troppo in alto per non offendere ma comunque decise a vincere! E mi sono pure dovuta pesare per stabilire la vincitrice...non è bastato il mio giurin giurello sull'ultima rilevazione del medico!!
in palio c'erano dei premi strepitosi: una lavatrice, un'asciugatrice, una lavastoviglie. Prima che vi facciate l'idea che le mie cognate siano miliardarie, vi svelo che si trattava ovviamente di premi simbolici: un catino con una saponetta da bucato, un filo per stendere con le mollette e nientepopodimenoche una spugnetta abrasiva per piatti con relativo detergente.

L'ultimo gioco era "indovina il nome". Le invitate hanno dovuto cercare in giro i frammenti che componevano  il nome del  mio nano in arrivo. E' stato meraviglioso il commento di mia suocera quando l'hanno ricomposto: "ah, ma allora lo chiamerete VERAMENTE così". Un entusiasmo senza precedenti nel suo tono di voce mi hanno fatto capire che approva al 100% la nostra decisione. Mi giustifico comunque dicendo che Ricardo Francesco e' il risultato di strenue sessioni di ricerca e votazione dei quattro membri attuali della famiglia, per cui alla fine un pomeriggio in macchina stavamo ascoltando alla radio una canzone di Ricardo Arjona (la gloria musicale nazionale) e Blanca se n'esce con "voglio che il fratellino si chiami come Claudio Arjona" e la disperazione era tanta per cui è bastato che si mettessero d'accordo su primo e secondo nome lei e Javier ed io non ho avuto nulla da ridire, anche se il mio monarchico "felipe Edoardo" e' stato bocciato al primo scrutinio. Mi basta che non abbia vinto Dany per cui il nome ideale era Diego alejandro (ci mancava solo il "de la Vega" ed avevamo Zorro e il padre) o mio fratello che insiste che chiamarlo Tiger Woods sia di buon auspicio.


 

lunedì 19 gennaio 2015

Super-size-me

Il concetto di dimensioni e' relativo: paese che vai, definizione di "grande" che trovi...
- il letto: la prima cosa che abbiamo avuto in casa, ancora prima che arrivassero i mobili, e' stato un letto. Ce l'ha regalato mia suocera, e' a tre piazze, misura 2 metri per 2 metri ed è alto 70 cm. Un mastodontico cubo in mezzo alla stanza. Quando l'ho vista ho pensato che finalmente l'era delle invasioni barbariche notturne dei bimbi e l'era delle peregrinazioni genitoriali tra i vari lettini dei bambini per trovare un po' di pace era finita, perché qui ci stiamo tutti e quattro spaparanzatissimi. Eppure, per uno strano fenomeno ancora da spiegare, nonostante il letto sia molto più grande di quello matrimoniale in cui dormivamo in Italia, alla mattina ci ritroviamo nelle stesse posizioni: i due bimbi perpendicolari a me e Dany, che ci ritroviamo agli estremi in bilico con un braccio e parte del cuscino sul rispettivo comodino, e sempre per una ragione che non trovo blanca ha immancabilmente la testa nell'incavo del collo di Dany, e i piedi che fanno perno sulle mie vertebre lombari e ritmicamente le percuotono. La mia conclusione e' che il letto enorme serve solo a far sembrare meno grande la stanza e a far sembrare più piccolo qualsiasi copriletto, ma non serve a risolvere i nostri problemi di spazio vitale.
- i "combo": i guatemaltechi, si sa, sono esterofili, e adorano importare le usanze di altri Paesi. Degli states hanno deciso di importare l'obesità e l'ingrandimento delle porzioni. Tu qui vai al cinema, chiedi un modesto (mica tanto...la dose piccola di bibita e' 330ml e una vaschetta di popcorn grande come un piatto fondo)menù popcorn e bibita e loro non ti possono lasciare andare via così. Gli fai pena, evidentemente, e quindi DEVONO proporti di ingrandire il tuo combo per solo un quetzales in più. Cosa vuoi che siano dieci centesimi di euro di fronte alla prospettiva di scolarti il un litro di bibita gassata e di poter immergere la mano in un cartone da mezzo chilo di pop corn? Io rifiuto sempre categoricamente, per principio. Però mi chiedo, ammesso  e concesso che uno riesca a bere un litro di bibita gassata in un'ora e mezza di film, poi la relativa produzione di gas, sia che esso voglia fuoriuscire superiormente o inferiormente, come sarà?
- il cinema: io che ho frequentato solo salette parrocchiali e il massimo della goduria e' stato andare al multisala, qui sono rimasta a bocca aperta. Esistono le sale vip, uno paga l'equivalente di 7 euro e vede il film in una sala da 40 posti, in poltrone di cuoio che diventano completamente orizzontali, con due camerieri per fila che ti servono da mangiare ( non solo "volgare" pop corn ma anche crêpes, coppe di gelato, panini...). Ci sono dieci cm di spazio tra una poltrona e l'altra, insomma tu vai al cinema con il tuo fidanzato e nemmeno riesci a darti la mano( non diciamo poi pomiciare!), una volta tanto che avevi trovato un posto buio e tranquillo!

E comunque, per la cronaca, nemmeno in un enorme sedile di cuoio ho trovato pace...dopo 20 minuti di film, finito il brownie con gelato, blanca mi si è accoccolata addosso con le mani tutte appiccicose e cioccolatose. Esattamente Come nelle poltroncine del cinema parrocchiale.

venerdì 9 gennaio 2015

Non ne vale la pena

Ore 6.30: a casa guzman si comincia con un certo ritardo a preparare i bimbi  per la scuola. Il sole e' già alto (qui il sole sorge verso le 5.30 e alle 5 c'è già molta gente in strada, chi è già in palestra a faticare, gli scuolabus cominciano a prelevare i primi bambini). Io scendo in cucina, Olga ha già provveduto alla colazione per tutti, devo solo preparare le merende e il pranzo per javi. Poi gli ricontrollo lo zaino, gli stendo sul letto l'uniforme e la biancheria mentre Dany lo controlla farsi la doccia. Alle 7 javi e Dany scendono a colazione, blanca si sveglia assonnata e ha bisogno di una decina di minuti di conforto psicologico per accettare che sia mattina e si debba andare a scuola dopo un mese di vacanza, ma poi ritrova il suo solito sorriso e scende a tavola canticchiando. Alle 7.15 javi si lava i denti ed esce di casa con la bocca sporca di cioccolata e l'uniforme piena di briciole. Alle 7.17 rientra in casa come un razzo perché il papà mentre lo caricava in macchina si è accorto dello stato di indecenza in cui si trova suo figlio. Alle 7.20 finalmente la macchina parte. Io bighellono un po', finisco di fare colazione, cerco di convincere blanca e alla fine mi arrendo e mi vado a fare la doccia perché tanto starle vicino mentre mangia e' tempo perso, avanza di un mm di muffin ogni 5 minuti, non so quando comincerà ad aspirare al ritmo di un ml l'ora la sua tazza di latte. Lo scaldabagno elettrico da qualche giorno fa scherzi, perciò decido di lavarmi a secchiate di acqua calda per evitare l'effetto tonificante della doccia fredda sulla schiena proprio quando ti sei insaponato e sei convinto che cada acqua calda. Ore 7.50: io sono pronta,  con i capelli zuppi ma pronta, blanca ancora sta consumando la colazione. Prima che mi parta un embolo per la rabbia, decido di non scendere a vedere quanto ha bevuto e mangiato, la chiamo direttamente si dalle scale con la promessa che le racconterò una favola inedita mentre si veste. Procediamo al lavaggio, asciugatura, vestizione (non senza aver tolto e rimesso i calzini circa 4 volte perché "così sono stretti, così sono storti, così non si vede bene il disegno), pettinatura: "voglio la treccia della principessa elsa, ma mi devi pettinare senza la spazzola" " ok ti sto pettinando con le dita (e di soppiatto uso la spazzola per farla sembrare meno una bimba appena scappata dal campo nomadi)" " mamma però la treccia la voglio lunga" "blanca i capelli sono finiti, non ti ricordi che te li ho tagliato nell'ultimo sbocco di ira perché non ti lasciavi spazzolare da tre giorni??". Partiamo alla volta della scuola, il mio orologio e' fermo da due giorni quindi secondo me sono le 8.10, la realtà la ignoro. Appena chiuse le portiere rientro a casa perché manca il pennarello per colorare, insomma, non si può fare il tragitto casa-scuola senza colorare, e poi "ieri mamma mi hai imbrogliato e mi hai dato una penna, oggi voglio un pennarello vero". Io, lo riconosco, sono un mammifero che non assolve pienamente la sua funzione perché non sono dotata di pazienza, a questo punto guidando con blanca che colorava felice e lo zecchino d'oro a palla avevo già raggiunto il livello di guardia, il surriscaldamento era prossimo e un po' mi tremava una palpebra. Per arrivare a scuola l'ultimo tratto e' una stradina privata in salita, in 500 metri sono disseminati 6 dossi, le opzioni sono due: o li fai in prima, rallentando all'inizio di ognuno, oppure li fai in terza senza rallentare ma solo cercando di prenderli di sbieco. Ho scelto la seconda opzione. Sono arrivata a scuola e il car pool, cioè come vi avevo raccontato in un altro post, quella procedura per cui i bimbi vengono scaricati e caricati direttamente dalla macchina di fronte al cancello della scuola dagli insegnanti stessi, era già finito. L'ultima maestra stava prelevando l'ultimo bimbo e si stava per chiudere il cancello. Non so perché ho deciso di mollare la macchina li in mezzo, prendere blanca al volo e trascinarla dentro al cancello, quando avrei potuto tranquillamente parcheggiare, scendere, camminare e portarla dentro da un'altra entrata, passando davanti alla direttrice che dicono si appunti i ritardatari, ma io non ne sono mica tanto sicura. Avrei potuto fare così, invece da madre snaturata ho proprio letteralmente trascinato blanca (correvo così veloce  in quei dieci  metri che le gambe le penzolavano e a volte strisciavano sull'asfalto), poi ci siamo lanciate dentro al cancello automatico che si è chiuso mentre passavamo (evidentemente non dotato di fotocellula). A quel punto ho realizzato che avevo lasciato le chiavi dell'auto inserite. Come una pazza ho cominciato a gridare di riaprire il cancello, ma qui un'altra caratteristica della gente autoctona ( intendo gli indios) e' di non utilizzare l'iniziativa personale. Se gli è' stato detto "alle 8.15 in punto chiudi il cancello", lo chiuderanno anche se il papa in persona lo stesse cercando di attraversare. dopo l'intercessione di numerosi insegnanti il portiere ha riaperto, ma ormai era troppo tardi: si era inserito l'allarme e la macchina era chiusa con le mie chiavi, il telefono, la borsa all'interno.
Sono scoppiata in singhiozzi e ho cominciato ad agitare le mani come solo noi italiani sappiamo fare, mentre tutto intorno a me la gente assisteva alla scena  senza fare una piega. Solo una delle bidelle, evidentemente preoccupata che con lo sventolio delle mani colpissi Blanca, e' venuta a prenderla per mano e l'ha accompagnata in classe. Devo aver sciorinato qualche improperio in italiano che deve aver fatto credere ai maestri mi stessi sentendo male, infatti poi in due mi hanno preso sottobraccio e mi hanno accompagnato dalla direttrice. Senza dire nulla ma con lo sguardo allibito mi hanno seduta, hanno composto sul telefono della scuola il numero di Dany e mi hanno portato un bicchiere d'acqua. Hanno spiegato cos'era successo e poi me lo hanno passato, mentre io ancora balbettavo e frignavo in italiano che "porca miseria ma perché avete chiuso il cancello e non lo riaprivate". Dany con il suo aplomb e il suo ottimismo si è messo a ridere e ha chiamato l'assistenza dell'assicurazione,'perché ovviamente non abbiamo un doppione della chiave (dopo oggi ne farò tante copie, una per ogni borsa!!). E sono rimasta li, seduta con il mio bicchiere d'acqua, mentre tutti mi fissavano senza dire una parola. Ogni tanto qualcuno mi dava una pacca sulla spalla, la maestra di tedesco mi ha abbracciato, quella di inglese mi ha accarezzato la testa, la vice direttrice mi continuava a riempire il bicchiere d'acqua, io ogni tanto singhiozzavo al pensiero del tempo perso, al nervoso per essere stata responsabile di una sciocchezza simile...
Ho trascorso così un'ora e mezza, osservando mogia mogia e con gli occhi lucidi e la lacrima pronta gli altri intorno a me che lavoravano: nessuno percorreva i corridoi di corsa, hanno fatto almeno due pause caffè, le maestre che dovevano fae fotocopie lo facevano a ritmi vicini alla sonnolenza, la vice direttrice ogni tanto scriveva qualcosa sul computer, il resto del tempo sorrideva alle altre dieci mamme che sono arrivate in ritardo variabile... fino a quando e' arrivato il meccanico dell'assicurazione che in tre minuti ha aperto la macchina (con una specie di sacchettino collegato ad una pompetta che gonfiandosi ha creato uno spazio nel quale lui ha inserito un gancio e aperto la porta). Mi sono calmata di botto, sono tornata felice e sorridente a ringraziare tutti dentro la scuola e avvisare che tornavo a casa. La vice direttrice mi è venuta incontro, mi ha abbracciata e mi ha chiesto se mi sentissi meglio. Si, le ho risposto, ma mi dispiace per il tempo che ho perso io, per il disturbo che ho dato a voi, per aver fatto venire fino a qua il meccanico... Le sue parole mi hanno gelata " e' successo perché lei voleva arrivare a scuola in tempo. Non ce n'era bisogno. Non ne vale la pena. I ritardi capitano, e nessuno si mette a giudicare gli altri per i ritardi. Non corra più, non ne vale la pena".


Ho deciso che sarà il mio mantra. Ho passato la vita a cercare di arrivare in tempo per qualcosa...ma in fondo,per chi corriamo? Cosa può capitare di così grave se arriviamo in ritardo? Perché ci angosciamo a causa del tempo? non ne vale la pena!

mercoledì 7 gennaio 2015

Sul cocuzzolo della montagna...

Archiviato il capodanno (riassunto breve: botti botti mitragliette botti botti dalle 8 di sera fino alle due del mattino, poi di nuovo alle sei del mattino e alle sei di sera del primo gennaio, tanto per non perdere l'abitudine al latrato dei cani spaventati e all'odore di polvere da sparo e bruciato. Ci tengo a far presente che io ho paura del fuoco, Dany ha acceso qualche vulcano di quelli che fanno solo luce e non rumore, però tutto intorno a noi il condominio e gli altri vicini hanno dato fondo a tutti i risparmi per creare un casino cosmico che ci ha allietato anche quando eravamo già sotto le coperte), ci restavano ancora dei giorni di vacanza. Per far superare si bambini la delusione per l'annullamento del viaggio in Italia (per colpa mia! Questa gravidanza non di sta rivelando così idilliaca come speravo), abbiamo pensato di portarli un po' in giro. La prima idea erano i parchi di divertimento, qui ce ne sono tre di molto grandi nel raggio di pochi km, poi però un po' di senno e' rientrato nelle nostre menti ed abbiamo pensato che la cosa di cui potevamo e volevamo fare a meno e' la confusione, tra l'altro io con una panza voluminosa di sette mesi non avrei potuto   salire su nessuna attrazione. E così abbiamo ripiegato sulle bellezze naturali del Guatemala. L'idea era di fare un giro di tre-quattro giorni dalle terre fredde a quelle calde, per esplorare la biodiversità: dalla foresta tropicale alle spiagge tropicali sul versante dell'oceano pacifico.  Ancora una volta abbiamo dovuto rifare il programma, perché è in corso un'epidemia di chikungunya (non è un rito vodoo collettivo bensì una malattia di cui potete leggere le caratteristiche QUI) proprio lungo la costa, e con la fortuna che mi ritrovo sono certa che la zanzara fortunella portatrice della malattia avrebbe punto proprio me! E quindi il tour avrebbe interessato solo zone fredde e nebbiose che potessero allontanare da noi la nostalgia della val padana e anche ogni zanzara.
Abbiamo scelto una regione chiamata Baja verapaz ( esiste anche quella alta), in cui esistono numerose aree protette in cui è possibile avvistare mammiferi, rettili ed uccelli molto particolari. Dicono sia una delle zone più ricche al mondo in termini di biodiversità. Il turismo non è ancora ben sfruttato, ci sono strutture alberghiere ma molto semplici, delle "posadas", che in genere offrono piccole baite in legno e cemento con il camino, un piccolo ristorante a menù molto limitato e rigorosamente autoctono a base di brodi di gallina e tacchino ruspanti con varie salse  (per la delizia di Javier che se non fosse per le uova strapazzate e il riso bollito avrebbe digiunato per tutti e tre i giorni), una pozza in giardino di acqua fredda più per decorazione che per effettivo uso denominata piscina, il tutto immerso nella selva. 

Il top della vacanza in questa regione e' riuscire ad avvistare il quetzal, un uccello in via di estinzione di circa 40 cm il cui esemplare maschio ha una coda più lunga di un metro, le cui piume verdi costituivano l'ornanento principale dei copricapi dei nobili maya e aztechi.




Fino a vent'anni fa il quetzal era davvero quasi estinto, resistevano solo trenta coppie di questi uccelli ( sono uccelli monogami e che vivono solo in coppia), minacciati dal disboscamento e dal contrabbando. Grazie alla costituzione di un'area protetta, denominata "biotopo del quetzal", ora sono state censite ben 180 coppie di quetzal. E' un uccello molto speciale per il Guatemala, infatti è l'emblema nazionale ed è rappresentato nel centro della bandiera; non si riproduce in cattività e alla prigionia preferisce lasciarsi morire, perciò incarna la fierezza e la libertà. Tutti sperano di vederne almeno uno vivo una volta nella vita. 
Siccome il masochismo e' il mio forte ("finché non spargi sangue non sei felice" mi ripete ridendo Dany) ho organizzato una bella scarpinata con i bimbi di soli due km, ma con un dislivello di piu di 300 metri, da 1600 a 1970 m s.l.m all'indomani del nostro arrivo. La sveglia era puntata alle 6, perché ci avevano spiegato i gestori della posada che è l'orario in cui una coppia di quetzal occasionalmente si posa sull'albero di aguacatillo nella baita davanti alla nostra. Nonostante fossimo andati a dormire alle otto ( in questi posti si cena alle sei al massimo, poi e' buio pesto e fa freddo, e non essendoci altro riscaldamento il massimo della movida notturna e' chiacchierare davanti al camino acceso) e alle sei la luce entrasse prepotentemente nella nostra camera (l'altro dettaglio piacevole e' che non si usano, come in molti altri Paesi, le persiane, perciò al sorgere del sole ci si alza per forza), non c'era verso che i bambini o Dany smettessero di ronfare, perciò nel frattempo mi sono incamminata io in avanscoperta nel boschetto accanto alla baita. Ho visto ogni sorta di uccello strano, qualche scoiattolo, tantissime orchidee che crescono spontanee su qualsiasi ramo anche secco, ma del quetzal nemmeno l'ombra.



 Alla fine i miei compagni di avventura si sono alzati alle sei e mezza e ancora in pigiama ma ben coperti siamo andati a fare colazione: pane tostato, tortillas di mais, burro, platanos fritti con panna acida, uova all'occhio di bue con salsa ranchera, pure' di fagioli neri, hashbrowns, würstel, cioccolata calda. Quello che ci vuole, insomma, per affrontare una camminata ripida. 
La camminata sarebbe cominciata da un parcheggio all'ingresso dell'area di proprietà della facoltà di biologia sell'universita San carlos. Tutta la zona dove sorge anche la posada e' formalmente protetta, eppure si trovano sacchi della spazzatura sul ciglio della strada e i campesinos appiccano il fuoco per bruciarla, invece in quest'area gestita dall'università il territorio e' veramente controllato e ogni intervento dell'uomo e' seriamente limitato. Nel parcheggio, la prima sorpresa...ci accoglie il parcheggiatore chiedendoci se mai abbiamo visto un quetzal... Perché proprio in quel momento c'era un esemplare femmina su un ramo circa tre metri sopra la nostra testa! Già con questo la giornata aveva preso un'ottima piega!

 Poi, pagato l'ingresso come guatemaltechi, cioè un quarto del biglietto riservato agli stranieri, ci siamo addentrati nel sentiero con una guida. Il povero ragazzo si era appena diplomato e nonostante ripetesse in più occasioni di gradire le nostre domande, in realtà non aveva proprio i mezzi per rispondere ad esse...comunque quello che ci ha spiegato e' la zona era abitata da scimmie urlatrici, pisotes, uccelli di tutti i tipi tra cui appunto quetzales, uccelli cardinale, colibrì e tucani, puma, gatti selvatici, capre, cinghiali, serpenti, anfibi. Ovviamente a parte gli escrementi di un puma, vari colibrì (che mi impressionano sempre!) e il quetzal femmina nel parcheggio e uno maschio impagliato nel centro di informazioni  non abbiamo visto altro, ma la scarpinata e' valsa comunque la pena per l'esperienza di addentrarsi nella foresta tropicale, tra una fitta vegetazione e la pesante umidità, trovarsi di fronte a tante cascate e udire solo lo scroscio di queste o i richiami più svariati degli uccelli... Ai bambini e' sembrata un'avventura bellissima, e cercavo di far loro capire lo stupore che devono aver provato i primi conquistadores spagnoli o i primi esploratori. Tra l'altro parte di queste zone, proprio per la pericolosità della fauna e per la difficoltà di procedere, sono tuttora inesplorate. 




Al pomeriggio ci siamo addentrati in un altro piccolo sentiero senza guida, sempre nella speranza di vedere altri animali, ma il massimo che siamo riusciti a incontrare sono state delle mucche al pascolo, due oche selvatiche e due cavalli. Al mattino seguente ci siamo alzati tutti molto presto e abbiamo visto un sacco di uccelli, e poi a colazione la seconda sorpresa! Due esemplari femmina di quetzal posati su un albero di fronte a noi! Se è vero che avvistare un quetzal porta fortuna, avendo e visti tre in due giorni quest'anno siamo destinati al primo premio della lotteria, come minimo... Verso le dieci abbiamo ripreso la macchina per rientrare nella capitale, ma ci siamo fermati per una sosta in una locanda che fino a poco prima ospitava una specie di zoo, in cui mio suocero aveva comprato ai figli trent'anni fa due volpi grigie e un barbagianni come animali domestici. Magari queste cose sulla famiglia di mio marito ve le raccontero' in un altro post, non vorrei rischiare di farvi apparire subito la nostra famiglia come un'accozzaglia di squilibrati solo per questo...
Adesso lo so che qualcuno di voi obietterà che una donna incinta, allergica a piante ed insetti, a quell'altitudine e in mezzo a ogni sorta di pianta ed insetto non ci dovrebbe stare ed e' comunque una cosa da squilibrati...e avete perfettamente ragione! Infatti ora scrivo con i piedi immersi in una bacinella piena di acqua e sale, tra una spalmata di cortisone ed antibiotico e l'altra, perché non so come,  ma qualche cosa mi ha ripetutamente punto e ho i piedi come due mongolfiere...
Chissà se è capitato anche ai primi esploratori!



sabato 3 gennaio 2015

Il natale del villaggio

Da anni a questa parte ho preso l'abitudine di cominciare a fare i regali di natale a novembre: comodamente seduta dal pc dell'ambulatorio, nelle pause tra un paziente e l'altro, ordinavo pacchi e pacchettini per amici e parenti. Anche i regali immensi (e spropositati, adesso me ne rendo conto) che ricevevano i miei due nani da Babbo Natale, arrivavano con un corriere espresso spesso non vestito di rosso e bianco ma di marrone e arancione, e restavano nascosti nella sala sterilizzazione dell'ambulatorio fino alla notte del 24. Quest'anno, vuoi il trasloco, vuoi che ho fatto fatica a sentire l'avvicinarsi del natale per via del clima non alpino di qui a cui invece ero abituata, e mettici pure che purtroppo qui in Guatemala Amazon.com non effettua consegne(triplo uffa! Ma gioverà moltissimo alla mia carta di credito), sono arrivata alla mattina del 24 dicembre che non avevo ancora finito di acquistare i regali, e la cosa peggiore avevo il frigo completamente vuoto e avevo invitato la famiglia di Dany per il cenone a casa nostra!
C'è da dire che qui il concetto di "cena delle feste" e' molto più spartano che da noi: in Italia ( e soprattutto a casa di mia madre e delle sorelle Orlandi, che in questo paiono fatte con lo stampino), c'è l'abitudine di servire come minimo due antipasti, due primi, due secondi, innumerevoli contorni, il dolce, il pandoro, il panettone e l'immancabile piatto di dolcetti ingannevoli (sembrano piccoli e innocui, in realtà hanno un peso specifico  prossimo a quello del marmo e viaggiano sulle 200 kcal a morso) che vengono serviti a fine pasto per agevolare la già complessa operazione di digestione, intervallati da acini d'uva (che si sa, sgrassa, e quindi annulla il peccato di gola commesso con il dolcetto) e da frutta secca compresi datteri e noci di macadamia("Mangia tranquilla! Ma non lo sai che la frutta secca fa benissimo? Ringiovanisce e la mettono in tutte le diete moderne, quindi non ingrassa!"). Il tutto mente si gioca a tombola, sette e mezzo, scopa e scala 40. 
Qui a Natale si comincia verso le sei di sera il tour per le case dei parenti per dare "l'abbraccio" e gli auguri, si consegnano i regali e si approfitta per fare una merendina in ogni casa: cioccolata calda ( che sembra più un caffè che la bevanda dolce a cui siamo abituati noi...avete presente il cioccolato di Modica, che preparano unendo a freddo cacao e zucchero non raffinato? Qui lo fanno in pastiglie, poi lo sciolgono in acqua bollente e a fine cottura aggiungono una noce di burro), te' di rosa di jamaica (credo sia rosa canina, a giudicare dal colore e dal sapore, ma non ci giurerei), champurradas (dei grossi biscottoni rotondi e croccanti con semini di sesamo), pan dulce (questo vi di dire solo che sembra un panino al latte un po' invecchiato, e' dolce, penso contenga formaggio) e ponche di frutta. Il tour dei parenti si conclude verso la mezzanotte nella casa in cui si fa il cenone, e il menù e' composto da...rullo di tamburi...una sola portata!! Di solito si serve il tamal natalizio, che è il tamal onnipresente in tutte le feste e i sabati guatemaltechi (il giovedì e' il giorno del "chuchito", il venerdì del "pache", il sabato del "tamal"), un rettangolo di impasto di farina di mais, strutto, salsa di pomodoro, alloro, cannella, peperoni e peperoncini essiccati e carne di maiale o pollo, a cui a natale vengono aggiunti uvette, olive, prugne secche, capperi. Il tutto avvolto in foglie di banano  e impacchettato e legato con una specie di corda di paglia. Il tempo medio di preparazione di un solo tamal e' di ore ed ore, quello natalizio ancora di più, e questo spiega perché sia servito solo in occasioni "speciali".

Tornando a bomba, visto che qui nessuno si aspetta una cena di venti portate, ero abbastanza tranquilla sul menù che avrei servito, ma così tranquilla che non avevo nemmeno fatto la spesa!
Così la mattina del 24 mi sono decisa a fare un bel giro per il mercato di San Jose' Pinula, un posto a circa 16 km da dove vivo che a prima vista sembra sia un villaggio di pochi abitanti, poi vai su wikipedia e scopri che di abitanti ne ha  quasi 50.000. Non avevo molta voglia di uscire perché visto che anche loro sono in vacanza, questo significava doversi trascinare i bambini dietro; prima o poi però, toccava iniziare a cucinare e fare i regali, e quindi mi sono fatta coraggio e ho costretto Olga a venire con me per darmi una mano a gestire le due pesti (in maniera non velata Olga mi ha fatto intendere che preferisce di gran lunga pulire le piastrelle dei bagni di casa con lo spazzolino da denti piuttosto di venire con me e i bambini da qualche parte). 
Il mercato di San Jose Pinula, se già normalmente e' un bel caos,la mattina di natale era peggio di un suk: lo spazio nella strada normalmente dedicato al passaggio delle auto quel giorno era occupato da parcheggi selvaggi di tuk tuk ( il taxi per eccellenza nei villaggi, un ape colorata di rosso), bancarelle di petardi e fuochi d'artificio vari, i "botti" insomma, rigorosamente non certificati, fuorilegge, eppure utilizzatissimi; bancarelle con statuine del presepe "maya" (delle signore indigene intente a vendere al mercato frutta e verdura) che sostituiscono i nostri pastorelli, foglie e vegetazione varia per il tamal e per decorare la casa ed il presepe.

E già li' penso mi fosse partito un embolo per la rabbia, poi riuscire a parcheggiarmi, scendere io dall'auto (alla fine del sesto mese sono piuttosto ingombrante), slegare dal seggiolino i nani e farli scendere evitando che atterrassero proprio sulla spazzatura (che purtroppo e' consuetudine gettare in strada) era un'altra prova di autocontrollo. I bambini  reputo fossero terrorizzati dall'enorme via vai di gente e dagli schiamazzi, composti dai soliti allusivi richiami "cosa compri biondina? ehi tu portati via tutto! Vieni a vedere cos'ho per te! Dimmi cosa vuoi e ti darò di tutto!" di cui vi avevo già parlato, perché Javi era avvinghiato alla mia borsa con entrambe le braccia, e blanca mi camminava praticamente sui piedi e in mezzo alle ginocchia così che l'embolo di prima era in buonissima compagnia. Nonostante tutto siamo riusciti a reperire il bottino: avevo intenzione di fare un cenone di pesce e sono tornata a casa con un pacco di filetti di pesce non identificato "tipo cernia" (non saprò mai cos'era...ho insistito con il venditore ma mi diceva solo che è un pesce senza nome tipo cernia), un ramo di salvia che in realtà secondo me era luppolo (e infatti non ho potuto farci il pesce al burro e salvia perché non odorava di salvia), mi sono rifiutata di comprare il baccalà che era esposto, secco, accanto alle candele votive e quindi addio baccalà alla vicentina con polenta che costituiva il secondo numero due delle mie portate, 5 kg di pomodori ( mi sono messa a fare le scorte di salsa di pomodoro che ovviamente NON ho utilizzato per il cenone), cozze e forse vongole ipertrofiche (comunque molluschi che ho infilato nel risotto), sessanta uova bianchissime, quattro cocchi da bere (per lo spuntino dei nani), il muschio e il ghiaino per il presepe, carta da regalo e fiocchi vari. 
Sono rientrata a casa allo scoccare dell'ora di pranzo con due bambini assonnati ma devastati dalla fame (nonostante avessero mangiato e bevuto cocco in macchina), e con la netta sensazione che il menù che avevo pianificato era da rivedere, che le ore che avevo davanti (pensavo di cenare per le otto) non mi sarebbero mai bastate per impacchettare i regali e cucinare, e che andare al mercato la mattina della vigilia di natale sia come pretendere di fare shopping con calma il giorno di apertura dei saldi, un'esperienza per chi pratica la meditazione zen e riesce a mantenere la calma interiore, insomma decisamente non adatta a me.


P.s. Per fortuna abbiamo cenato alle 11.30, perché gli ospiti sono arrivati con il solito ritardo "accademico" guatemalteco, e quindi il tempo e' bastato anche per rielaborare il menù e riuscire a fare comunque 4 antipasti, un primo, secondo e contorni e due dolci! Evviva il masochismo natalizio!